Una cascata d’acqua al centro della via principale dello shopping, strade chiuse al traffico per consentire ai bambini di giocare all’aperto, una ‘caccia allo zombie’ in pieno centro cittadino. Se pensate che questo sia uno scherzo o che sia successo in uno dei parchi divertimento stile Disneyland, vi sbagliate. E’ successo a Bristol, in Inghilterra, lo scorso anno. Grazie a un’iniziativa, chiamataPlayable City che, nata in Uk, sta prendendo piede in tutto il mondo grazie anche a un ciclo di conferenze volte a divulgare la filosofia che sta alla base del movimento: unire i cittadini grazie al gioco per promuovere coesione sociale e aumentare la qualità della vita.
Le città va vissuta in modo attivo
Tre i concetti chiave che stanno alla base del movimento. Primo, che i problemi urbani possono essere affrontati soltanto con un’azione collettiva. Secondo, che non si possono delegare scelte che ci riguardano da vicino e che hanno a che fare col nostro benessere alle autorità locali, ma i cittadini devono avere una parte attiva nel controllo del loro ambiente. Terzo, che i problemi vanno affrontati con ottimismo, gioia e collaborando, cosa che il gioco necessariamente crea.
Contro il modello ipertecnologico ed alienante delle smart cities
L’iniziativa può essere vista come una risposta creativa alla freddezza e all’anonimatodell’ambiente urbano, che la tecnologia rischia di acutizzare enormemente. Una delle fondatrici del movimento, e relatrice dell’ultima conferenza, che si conclude proprio oggi a Bristol, Clare Reddington ha più volte espresso la sua preoccupazione in merito alle Smart Cities perché fondate su un modello dove la tecnologia va a supplire quasi completamente il nostro intelletto. Se non sappiamo dove siamo, ce lo dice il nostro smartphone, se non sappiamo come raggiungere un posto, idem. Se vogliamo informazioni su qualsiasi locale, sulle proiezioni cinematografiche, su orari e quant’altro basta digitare e cliccare. Tutto molto utile, senz’altro. Ma quali sono le conseguenze, a livello di facoltà intellettive e sopratutto di capacità relazionali, che questo modello porterà? Senza poi considerare che molto spesso da questa visione ‘iper tecnologica ed iper intelligente vengono tagliati fuori gli anziani, isolandoli ancor più.
Primo passo, rendersi conto di non essere macchine programmate per svolgere una funzione
Si potrebbe ribattere che il gioco e il trasformare la città in un parco divertimento non sia comunque la soluzione al problema. E’ vero, ma se consideriamo che molto spesso la vita urbana è fatta di tempi scanditi e da corse frenetiche per raggiungere un qualsiasi scopo (lavorativo, il più delle volte)- il gioco è forse l’unico mezzo per interrompere il cerchio. E per rendersi conto che in fondo non siamo macchine programmate per svolgere una funzione, ma esseri umani, che hanno bisogno di convivialità, di leggerezza e di rapporti umani.
Riscoprire il senso comunitario e di appartenenza
A questa riflessione se ne uniscono altre, più ‘concrete’, se così vogliamo definirle. Per migliorare una città veramente, è necessario che siano gli abitanti in primis ad amarla e a curarsene e per raggiungere questo stadio l’ambiente urbano deve essere bello, confortevole, a misura d’uomo e vivibile, ma sopratutto deve farci sentire parte di una comunità. E’ il senso di appartenenza la vera chiave di volta per raggiungere con facilità un obiettivo. Cittadini più interessati alla loro città uguale cittadini attivi, attenti alle problematiche urbane e sociali, più rispettosi delle regole.
Il modello di Playable City prevede una riprogettazione urbana attenta
Solo belle parole? Non sembra, a guardare il ‘protocollo’ di Playable City, che dopo essere stato presentato in Uk è stato sdoganato in Svezia, Texas, Giappone e Cina. In primo luogo viene proposta una riprogettazione urbana attenta alla creazione di spazi comunitari (quindi, così come avviene per le smart cities, ben vengano i parchi e le aree verdi disseminate per la città), in secondo luogo la città deve essere da un lato predisposta ad ‘accogliere’ strutture mobili utili ai giochi e dall’altro deve prevedere elementi, fissi in questo caso, ludici. Come il ‘simpatico’ lampione con cui è possibile colloquiare, anche tramite smartphone. Perché la Playful City non è contro la tecnologia, ma è contro un uso ‘autistico’ dei mezzi tecnologici.
Il resto, lo fa il singolo progetto che la città decide di sposare, che può prevedere incontri ‘giocosi’ settimanali o mensili a cui la cittadinanza può partecipare, iniziative di quartiere di qualsiasi tipo.
Fonte: http://www.casaeclima.com